Bene, stavolta per me niente strazianti ricerche di parcheggio, gioco in casa e raggiungo a piedi il locale in una tranquilla via di monte verde nuovo, dove gli echi della movida romana si percepiscono appena. Con un pizzico di fortuna anche gli automuniti si sistemano e, per le motocarrozzette poi, nessun problema. Un gergo da inizio novecento che fa pendant con il logo del locale e, perché no, anche con il clima che si avverte appena dentro.
Fonte immagine sito web www.pizzerialafucina.it
Colori pastello e arredamento “casalingo”, nessun ammiccamento alle volatili tendenze con/temporanee, apparecchiature semplici e legni chiari creano un’atmosfera calda, un po’ di slalom tra i tavoli, forse troppo ravvicinati, e raggiungiamo il nostro.
Il locale, malgrado la crisi e il giorno infrasettimanale, è pieno e questo indizio mi rincuora sempre quando si tratta di mangiar fuori, se non fosse che i pannelli fonoassorbenti che drappeggiano il soffitto, in perfetto stile inizio secolo (il drappeggio, s’intende!), non raggiungono lo scopo e la sala risulta un po’ rumorosa.
Ma ecco i menù, c’è da studiare!
Niente distrazioni, il concept del locale è che qui si mangia pizza, buona pizza. Non esistono antipasti, scordatevi i “frittini” e le fette di pane fantasiosamente abbigliate. Niente. Qui si mangia pizza.
La carta si divide in tre grandi temi: mare, terra e classiche. Gli ingredienti sono ricercati e accostati in maniera sorprendente. Forse una lieve ridondanza nella celebrazione della biologicità e artigianalità delle materie prime.
Siamo sul punto di decidere, quando la volenterosa cameriera ci elenca un copioso “fuori menù” che ci lascia a dir poco inebetiti. Broccoletti siciliani, riduzione di barolo, ciauscolo, soldo di cacio, provolone delicato, vellutata di broccolo romanesco, uova di trota iridea, è troppo. Troppo per le mie orecchie ma soprattutto per la mia memoria, le chiediamo più volte di ricominciare e, pazientemente, veniamo assecondati.
Le tentazioni sono numerose, optiamo per una “margherita”, una “salmone selvaggio dell'Alaska affumicato, ricotta di pecora e mozzarella di bufala su velo di pomodoro in salsa”, una “prosciutto di Sauris riserva 24 mesi, robiola fresca di capra "bio" e mozzarella di bufala”, una “ciauscolo, patate, burro fuso, olio e pepe” e infine una “pere, fontina d’alpeggio e riduzione di barolo”. Perdonate la lungaggine ma, le pizze si chiamano davvero così.
Altrettanto interessante la carta dei vini e delle birre artigianali, proposte varie e non banali, ci orientiamo sulla Barley (della quale assaggeremo le varie tipologie).
Le pizze sfileranno sul nostro tavolo ad una ad una secondo la sapiente esperienza del pizzaiolo che ne decide l’ordine d’apparizione, creando così una “verticale” del gusto. Nel rispetto del criterio “degustazione” arrivano già tagliate, così che tutti ne assaggeremo uno spicchio.
La margherita. Appena tiepida, un velo di salsa di pomodoro e bufala strappata a mano, la temperatura non elevata impedisce alla mozzarella di “sbrodolare” e indurirsi e accontenta anche me, che sono una scettica della bufala sulla pizza, la pasta è leggera e biscottata al punto giusto. Questa non è una “margherita”, ma una felice reinterpretazione di quella che in tanti chiamiamo la pizza con la mozzarella.
L’impasto è frutto di farine biologiche macinate a pietra e lievito madre, con una lievitazione di 24 ore. Lo stesso supporto troviamo sotto la “salmone, ricotta e mozzarella” le materie utilizzate sono in felice connubio e mantengono la loro identità e distinguibilità ad ogni morso.
Segue la “prosciutto, robiola e mozzarella”, più calda. La base, sotto questo trittico di sapori, ci sembra più soffice, gli ingredienti vengono assemblati fuori dal forno e questa ha, forse, avuto un ripassaggio alle braci per un minuto o poco più, permettendo al prosciutto di esprimersi al meglio.
Il gusto si fa ancor più caldo e deciso con la “ciauscolo e patate saltate al burro”, di grande personalità e realizzata con maestria. Non avrei saputo aggiungevi o togliervi nulla. Chiudiamo con la “pere, fontina e riduzione di barolo”, prevale la nota dolce, ottima idea per finire, nulla da dire, se non che le pere non sono il mio cibo preferito.
Ci concediamo anche un dolce, alcuni dei quali arrivano dalla pasticceria “Cristalli di Zucchero”, purtroppo il millefoglie aveva sofferto il frigorifero, proviamo anche i due dessert di produzione “fucina”, sui quali possiamo tranquillamene sorvolare.
Come ripeto, qui si mangia pizza!
Se, in senso figurato, la fucina è il luogo dove si generano nuove idee, questa fucina è attivissima.
Uncontro: il prezzo. Per quanto epicurei ci si possa sentire, il conto è alto, tanto più con un ambiente e servizio così “casalinghi”
Unpro: ottime materie prime.
@Silvia
Abbiamo speso 33€ il 13 Dicembre 2011
La Fucina
Via Giuseppe Lunati, 25
www.pizzerialafucina.it